nuovi nomi, noi eravamo giudei (Hebrews) piuttosto che ebrei {Jews).

Quando i miei genitori mi portarono in Palestina avevo esattamente dieci anni. Già allora ero preso dalla politica. I miei primi dieci anni erano trascorsi in Germania, e ne avevo sei quando Hitler ottenne la sua prima grande vittoria elettorale. Dopo di che la scalata nazista al potere fu il fatto che dominò le nostre vite. Le parate senza fine delle truppe d'assalto vestite con la camicia bruna, le battaglie di strada tra nazisti e comunisti, gli eserciti privati con le uniformi dei diversi partiti: questi gli elementi del paesaggio della mia infanzia. A tavola, durante i pasti in famiglia, la politica era il principale argomento di conversazione; essa fu per me il fattore decisivo, immensamente più serio e più importante persino della musica di Brahms, amata da mio padre.

Mio padre era direttore di banca. La nostra era una famiglia della classe media, e vivevamo in un agio confortevole. Come suo padre prima di lui, mio padre era imbevuto dello spirito dell'istruzione umanistica tedesca, nutrita di latino e di greco, e fu caratterizzato per tutta la vita da un idealismo senza pretese, in cui era profondamente radicato.

Mio padre era anche un sionista. Quando, nel 1913, sposò mia madre, alcuni amici gli dettero come regalo di nozze un documento attestante che in Palestina era stato piantato un albero a suo nome. Ma nella Germania prehitleriana il sionismo non significava immigrazione in Palestina; e in realtà non credo che una tale idea sia mai entrata nella testa di mio padre. Esso significava innanzitutto essere non conformisti (e io ho il forte sospetto che mio padre si divertisse a scandalizzare gli assimilazionisti che lo circondavano, e che odiavano il sionismo). Significava inoltre la consapevolezza delle sofferenze patite dagli

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