ebrei altrove, e una simpatia per gli sforzi del pugno di pionieri che tentava di costruire un nuovo paese nel Vicino Oriente - un posto troppo lontano perché sembrasse interamente reale.

Ma il sionismo ci salvò la vita. Io non l'ho mai dimenticato quando più tardi sono divenuto un nonsionista, e forse un antisionista.

Quando Hitler giunse al potere avevo nove anni. Il terrore bruno si scatenò l'anno che cominciai la scuola media. Mi trovai ad essere l'unico scolaro ebreo. Secondo quanto mi ricordo, ogni uno o due giorni si celebrava un'antica vittoria delle armi germaniche. Tutti gli scolari venivano riuniti nella grande sala e si facevano loro cantare vecchie e nuove canzoni patriottiche. Ricordo un giorno - mi pare fosse l'anniversario della battaglia di Belgrado - in cui me ne stetti, piccolo e solo, in mezzo ad un migliaio di ragazzi tedeschi che cantavano 1 'Horst Wessel, l'inno nazista che sconvolge il sangue. Io non cantavo, né alzai la mano nel saluto nazista, come fecero tutti gli altri. Alla fine un gruppo di compagni di classe mi disse che se avessi mancato un'altra volta di alzare il braccio mentre veniva cantato l'inno della nuova Germania, « mi avrebbero fatto vedere loro ».

Non ne ebbero l'occasione: una settimana più tardi lasciavamo la Germania per sempre.

Credo che mio padre sia stato uno dei primi ebrei tedeschi ad accorgersi di quanto stava accadendo. Egli percepì il senso degli avvenimenti il giorno che i nazisti giunsero al potere, e ne fu reso capace dalle sue convinzioni sioniste, che lo predisponevano a prender coscienza della malvagità dell'antisemitismo e dell'assoluta impossibilità di combatterlo.

Così un giorno del gennaio 1933 mio padre si recò al dipartimento di polizia di Hannover per otte-

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