promettente, era un modo facile per risollevarle.

I presupposti dell'azione di Nasser erano in parte giusti e in parte sbagliati. Israele era assai vicina ad un attacco alla Siria, come il nostro primo ministro aveva dichiarato apertamente il Giorno dell'Indipendenza, ma la cosa non aveva assoluta-

mente nulla a che fare né con gli americani né con le posizioni ideologiche della dittatura siriana. L'unico scopo era di metter fine agli atti di sabotaggio compiuti in Israele da gruppi terroristici che - a giudizio di tutti gli israeliani - venivano organizzati dai siriani.

A questo punto gli atteggiamenti e le convinzioni di ambedue le parti, formati dalle vicende di tre generazioni, cominciarono ad esercitare la loro profonda influenza, conducendo infine ad un'ennesima guerra. Nasser è persuaso, come tutti gli arabi, che Israele è una creatura dell'imperialismo occidentale, e che agisce quindi automaticamente in conformità agli interessi occidentali. Poiché sbarazzarsi del regime siriano era chiaramente nell'interesse americano, dal punto di vista arabo era del tutto ovvio che una minaccia israeliana alla Siria dovesse per forza far parte di un piano americano.

Nasser non era letteralmente in grado di comprendere che in quel momento l'unica preoccupazione di Israele era di far cessare gli atti terroristici, e commise il suo primo grande errore. Se, contemporaneamente alla concentrazione delle sue truppe nel Sinai, avesse chiesto alle organizzazioni dei terroristi siriani e palestinesi di interrompere le azioni di guerriglia, la cosa sarebbe stata ben accolta in Israele, in quanto avrebbe convalidato l'immagine complessiva di un Nasser almeno per il momento leader moderato e non desideroso di guerra. Ma Nasser non si comportò così.

Dichiarò che le sue truppe avrebbero attaccato

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