opinioni, conservate in lettere e rapporti del periodo, avevano scarso peso sulla leadership sionista, che risiedeva in Europa e guardava alle faccende del-l'« Oriente » dal superiore punto di vista della politica mondiale. La frazione palestinese del sionismo era ancora piccola e di secondaria importanza. La base del movimento, le masse dei suoi seguaci, la sede delle sue organizzazioni erano tuttora in Europa, e guardavano a questa vicenda con occhi europei. (Di passaggio, non si può fare a meno di chiedersi perché la leadership del movimento non fu trasferita immediatamente in Palestina, la terra che costituiva l'oggetto unico di tutti i fini e gli sforzi del sionismo. La ragione stava naturalmente nel fatto che la colonizzazione era ancora considerata un aspetto secondario del movimento, mentre l'obiettivo principale rimaneva la conquista di una base giuridica internazionale per la creazione di un focolare nazionale ebraico in Palestina. Fattore ancora più importante, la maggioranza dei dirigenti sionisti - allora come adesso - non vedeva affatto con piacere la prospettiva di trasferirsi in un ambiente tanto meno confortevole di quello in cui vivevano.)

La dottrina ufficiale fu ripetutamente enunciata da Max Nordau, il famoso scrittore ebreo tedesco, che alla morte di Herzl (1904) divenne la personalità più eminente del movimento. Martin Buber racconta in uno dei suoi libri che Nordau, quando sentì dire per la prima volta che in Palestina c'erano gli arabi, ne fu profondamente scosso e corse da Herzl esclamando: « Io non lo sapevo! Stiamo commettendo

un'ingiustizia! ». Ma Nordau dovette superare agevolmente il suo turbamento se nel discorso al settimo congresso sionista, riunitosi a Basilea nel 1905, affermava:

Il movimento che ha coinvolto una gran parte del

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