popolo arabo può facilmente prendere una direzione suscettibile di causare guai in Palestina [...] In una tale situazione la Turchia potrebbe inoltre convincersi che sarebbe per essa importante disporre in Palestina e in Siria di un popolo forte e ben organizzato il quale, nel pieno rispetto dei diritti delle popolazioni locali, si opponga a ogni attacco portato contro l'autorità del sultano e questa autorità difenda con tutte le sue forze.

Era una chiarissima offerta di fare dell'insediamento sionista un bastione a difesa del governo turco e contro gli abitanti del paese. In pratica queste parole significavano una dichiarazione di guerra al nascente movimento nazionalista arabo.

Questa decisione di enorme portata maturò in modo del tutto naturale, e persino automatico. Essa non era ispirata, come oggi potrebbe apparire, da una qualche ostilità verso gli arabi e le loro aspirazioni, e neppure da simpatie imperialistiche: era semplice-mente il frutto della specifica situazione in cui si trovava il sionismo. Citiamo ancora Nordau, da un discorso rivolto quattro anni più tardi al nono congresso sionista, riunito ad Amburgo dopo la rivolta dei Giovani Turchi:

La terra delle nostre speranze, delle nostre aspirazioni e dei nostri sforzi, la Terra Santa dei nostri padri, è compresa entro i confini dell'impero ottomano. Le sue spiagge e le sue frontiere sono guardate da soldati turchi. Le chiavi della casa di cui i sionisti vogliono fare il loro focolare nazionale sono nelle mani del governo turco. È quindi naturale che tutti i nostri sforzi si volgano alla Turchia, non diversamente da come l'ago della bussola si volge al polo magnetico.

Una politica diversa, del tipo di quella invocata da alcune deboli voci sioniste di Costantinopoli, avrebbe significato opporsi al governo turco, chiù¬

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