tratta di un racconto assai significativo, perché può derivare soltanto dai ricordi dello stesso Ben Gurion, così come egli molti anni più tardi deve averli riferiti alla sua biografa. Per una gran parte di coloro che hanno fatto la medesima esperienza le sensazioni provate da Green esprimono tipicamente il loro intero atteggiamento di fronte alla realtà palestinese.

Immaginate un giovane diciottenne, già veterano della politica sionista, che della Palestina aveva sognato e parlato per anni, avvicinarsi per la prima volta alle sue spiagge e scorgere disegnarsi all'orizzonte il profilo di Giaffa, con la sua cittadella e i suoi minareti. La realtà della Palestina ch'egli portava nella mente non aveva nulla a che fare con quella della Palestina concretamente esistente. La sua Palestina aveva un passato, un presente e un futuro, nessuno dei quali presentava una qualsiasi somiglianza con ciò che si apprestava a vedere di lì a poche ore. La sua Palestina del futuro era una meravigliosa terra di libertà, di eguaglianza e di rinascita ebraica: l'utopia di Herzl mescolata con i sogni del socialismo est-europeo. La sua Palestina del presente era un pugno di sparse e isolate colonie, create a partire dagli anni ottanta dello scorso secolo dai pionieri della prima aliyah, luoghi di una lotta eroica in cui gli operai ebrei lavoravano duramente e i soldati ebrei - figure leggendarie - montavano la guardia. In questo quadro la presenza di mezzo milione di arabi trovava aopena posto, come un ostacolo di scarsa importanza, un po' come 2500 anni prima i coloni ebrei tornati dall'esilio babilonese sotto Nehemia ed Ezra avevano guardato ai samaritani semplicemente come a una possibile fonte di fastidi.

Ma per i nuovi arrivati come David Green la Palestina più reale era quella del passato; per loro la Bibbia era viva. In un modo del tutto incredibile per -degli stranieri, la Bibbia è per i sionisti - e per

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