della vita di Ben Gurion: quella della « manodopera ebraica ».

I socialisti che visitano Israele appartengono in genere a due categorie. Ad alcuni brillano gli occhi, e sono coloro che vengono sopraffatti dalle nostre cooperative, dai nostri moshavim (colonie cooperative) e kibbuzim (comunità di villaggio). Del tutto giustamente essi considerano queste realtà come creazioni originali, come un modo di vivere privo di coercizioni, una condizione di volontaria eguaglianza di rado raggiunta altrove. Altri sono turbati da una realtà che appare loro un soffocamento del socialismo' da parte del nazionalismo. Fino ad appena due anni fa la denominazione ufficiale della famosa Histadrut era « Confederazione generale dei lavoratori ebrei in Eretz-Israel », cioè una definizione a base nazionalereligiosa anziché semplicemente territoriale, come di consueto. (Quando la parola ‘ ebrei ' fu finalmente cancellata l'opposizione più tenace venne da Ben Gurion.) Fino a pochi anni fa l'Histadrut non accettava neppure membri arabi. Le due facce del movimento socialista sionista - quella socialista e quella nazionalista - più che essere strettamente interconnesse, formavano in effetti un'unica realtà. Ne è esempio eminente la questione della « manodopera ebraica », anche prescindendo dal fatto che a questa risale, come a una delle sue cause primarie, l'attuale situazione del Medio Oriente. In verità non si esagera affatto dicendo che la lotta per la « manodopera ebraica » fu il vero inizio della guerra araboisraeliana.

Forse mai nessuna lotta prese l'avvio per ragioni più idealistiche. Il socialismo sionista non si accontentò (sin dalle sue origini) di trasportare gli ebrei in Israele, né di creare un focolare nazionale ebraico. Per avere un significato effettivo, la « liberazione »

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