la cosa era giustificata. Questo significò la battaglia per la « manodopera ebraica », che continuò per due generazioni e che ancora oggi rispunta di tanto in tanto a disturbare la vita dell'odierno Israele. Di recente il quartiere yemenita di Tel Aviv è stato fatto oggetto di attentati con bombe, miranti a indurre proprietari di ristoranti e fornai a licenziare la loro manodopera araba.

In talune occasioni la lotta per il riscatto della terra divenne altrettanto violenta. La terra era comprata - spesso a prezzi esorbitanti - con moneta sonante raccolta in maggior parte tra gli ebrei poveri all'estero. In molti casi l'arabo che la vendeva non viveva sul posto, ma era un ricco effendi che passava la vita nelle case da giuoco di Beirut o della riviera francese. Questi non si preoccupava gran che della sorte cui andavano incontro i suoi fittavoli, i poveri fellahin che conducevano la loro misera vita sulla terra. Quando questa veniva riscattata dal Fondo nazionale ebraico per costituirvi sopra un kibbuz, costoro ne venivano puramente e semplicemente espulsi. Se più tardi accadeva che qualcuno di loro attaccasse il kibbuz, ciò voleva soltanto dire che s'imponeva in modo imperativo un efficiente sistema di difesa armata. Così la Histadrut divenne il sostenitore e il patrono della Haganah, l'esercito clandestino basato sui kibbuzim precursore delle odierne forze armate israeliane.

La battaglia per la « manodopera ebraica » è responsabile più di ogni altra cosa (perfino più della politica internazionale) dell'abisso apertosi tra i due popoli viventi nella Palestina turca e poi inglese. Gli scambi sociali tra di loro si rarefecero sino a scomparire, i legami economici divennero occasionali e periferici. Molto prima che le Nazioni Unite decretassero la spartizione della Palestina, questa era già una realtà nella vita della regione. Giaffa e Tel Aviv (che

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