Questa prospettiva era considerata dal governo e dall'esercito israeliani con crescente apprensione. Si pensava che se gli inglesi se ne andavano il canale sarebbe rimasto chiuso per sempre al traffico navale israeliano (il blocco antisraeliano era operante sin dal primo giorno dello Stato d'Israele). L'Egitto poteva esser tentato di farsi più aggressivo. Peggio ancora, le basi inglesi avevano immensi depositi di armi e di attrezzature militari, che avrebbero potuto cadere nelle mani degli egiziani rovesciando così a favore dell'Egitto l'equilibrio del potenziale militare.

Stava inoltre verificandosi un'altra cosa inquietante. Gli Stati Uniti, il più importante alleato d'Israele, cominciavano a manifestare atteggiamenti amichevoli verso il nuovo regime egiziano, il quale da parte sua con il suo volto nettamente anticomunista (aveva messo in galera i dirigenti dei tre piccoli partiti comunisti) rallegrava il cuore di John Foster Dulles. Un nuovo astro nascente del dipartimento di Stato americano, Henry Byroade, vicesegretario per gli affari mediorientali, era perfino arrivato ad affermare che armare gli arabi era più importante che armare Israele (20 luglio 1953). Tutto ciò rischiava di andare troppo oltre. Era evidente che occorreva fare qualcosa prima che gli inglesi si accordassero con gli egiziani sulle basi e gli americani divenissero amici troppo stretti del popolo sbagliato.

Il governo non concordava con Ben Gurion sul problema del che cosa fare, ma condivideva interamente la sua valutazione della situazione. E in verità in Israele nessuno che avesse responsabilità di governo poteva non condividere questa valutazione, la quale poggiava sulle convinzioni fondamentali proprie a tutti i leader sionisti: 1) che gli arabi non vogliono la pace; 2) che il nazionalismo arabo è una minaccia permanente per Israele; 3) che il sostegno delle potenze occidentali è importante per la sicu¬

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