timoroso di scoprire cosa potevano aver tramato durante la notte Lavon e Dayan.

Per potere intendere questi eventi è necessario rendersi conto dello stato d'animo del paese. Cinque anni dopo la vittoria nella guerra di liberazione, la pace era più lontana che mai. Il tentativo operato dal nazionalismo arabo di unificare il mondo arabo, e con esso gli eserciti che accerchiavano Israele, costituiva una chiara minaccia per la stessa esistenza dello Stato ebraico. Le uccisioni e gli atti di sabotaggio effettuati dagli arabi che s'infiltravano attraverso il confine (molti di costoro erano profughi dal territorio ora nelle mani di Israele) creavano nel paese una disposizione « attivistica ». L'« attivismo » - così fu chiamata la linea dura dei falchi d'Israele - era popolare, e non perché la gente fosse assetata di sangue, ma perché sembrava l'unico modo di salvaguardare la sicurezza dello Stato.

Nel maggio 1954 la tensione all'interno di Israele aveva raggiunto il culmine: lo Stato sembrava abbandonato dai suoi alleati proprio nel momento in cui si trovava di fronte un mondo arabo unificato e un esercito egiziano riarmato; il canale di Suez era stato definitivamente chiuso; le infiltrazioni armate producevano strage e distruzione lungo le frontiere. Dalla ristretta cerchia degli iniziati erano trapelate nel vasto pubblico voci che parlavano di un lussureggiare di intrighi al più alto livello del potere. Dato il clima, l'ultima notizia apparve anche peggiore di quel che era. Il 1° maggio Henry Byroade pronunciò un altro discorso; indirizzandosi all'American Council for Judaism, un gruppo minoritaria ebreo-americano antisionista decisamente odiato dagli israeliani, disse che Israele doveva porre termine all'immigrazione di massa a causa delle paure che

129