gravidanze dovessero andar soggetti, come ogni altra cosa, alle decisioni comunitarie; in seguito questo atteggiamento rigoristico è stato modificato.) Quando da Shmuel Dayan e Devora Kitaigrodsky nacque Moshe, tra il kibbuz e i suoi vicini arabi c'era una situazione tesa. Anzi: il bambino fu chiamato Moshe in ricordo di un membro della comunità, Moshe Barsky, ch'era stato ucciso dagli arabi mentre tornava a casa a cavallo da un lontano villaggio ebraico, portando delle medicine per il padre. Quando Moshe aveva cinque anni i suoi genitori lasciarono Degania per Nahalal, preferendo un moshav a un kibbuz. (Mentre in un kibbuz tutto è proprietà comune e funziona in comune, e anche i bambini vivono nell'asilo infantile della comunità, in un moshav l'unità familiare di base viene conservata. I singoli membri dispongono di case individuali, dove vivono con i propri figli, circondate dal proprio bestiame e da piccoli poderi pure privati. Il lavoro produttivo riguardante le superfici coltivate più importanti è affidato alla cooperativa, cui spetta anche la messa in commercio dei prodotti e la gestione del magazzino cooperativo.)

Una vecchia storia racconta che un giovane membro di un kibbuz, richiesto di dire come vedeva il problema arabo, rispose: « Attraverso il mirino del fucile ». Un giovane come Dayan, cresciuto a Nahalal, sulla strada tra Haifa e Nazareth, non deve aver visto le cose in modo diverso. Rapporti di vicinato con i villaggi arabi della zona non ne esistevano. Le noie riguardanti la terra e i rapporti di lavoro erano cosa normale. Gli arabi tendevano a far pascolare le loro greggi sui campi che erano costati tanto sudore ai coloni ebrei. Dispute analoghe accadevano in Palestina da quando Caino aveva trucidato Abele, facendo scorrere sangue già all'inizio della storia degli uomini. Ma essendo nella fattispecie i pastori arabi e gli agricoltori ebrei, questi fatti s'imbevevano di

159