tazione, di clima, di realtà politica e di ambiente sociale ha fatto necessariamente del figlio nato in Palestina un individuo profondamente dissimile dal padre nato nel ghetto. Negli Stati Uniti e in Europa non è insolito per un giovane israeliano sentirsi rivolgere l'esclamazione: « Ma tu non sembri un ebreo! ». Questo dubbio « complimento » contiene un grano di verità: il sabra tipico, alto, robusto, che ha spesso i capelli biondo-scuri e gli occhi azzurri, si differenzia anche nell'aspetto esteriore dai suoi antenati ebrei, un po' come l'australiano o l'americano medio è diverso dal suo bisnonno inglese. La cultura ebraica, creata durante la Diaspora da una minoranza perseguitata e religiosamente orientata, non attira una generazione israeliana caratterizzata da un senso di libertà persino eccessivo. Quella parte della religione ebraica che poggia sul Talmud e sullo Halachach (la Legge),ambedue prodotti della Diaspora, è degenerata in Israele in slogan di partito. Invece la Bibbia, il più grande libro di tutta la letteratura ebraica, è immensamente popolare, e l'archeologia era divenuta una mania nazionale molto tempo prima che Moshe Dayan cominciasse a scavare. É significativo che nell'uso ebraico moderno quotidiano gli israeliani siano inconsciamente pervenuti ad adoperare il termine ‘ ebraico ' (j e wish) quando si parla degli ebrei stranieri, dei nuovi immigranti o della religione, e a chiamare invece « giudaico » (hebreiv) tutto ciò che è connesso con la loro stessa realtà: noi non parliamo mai di esercito, nazione, insediamento o manodopera ebraici, ma sempre e soltanto di esercito giudaico, nazione giudaica, etc. Così, assai prima che si fosse sviluppata Videa di una nuova nazione giudaica, questa era già divenuta un fatto inconsciamente accettato.

Noi costituiamo una nuova nazione, la nazione giudaica. La nostra patria è la Palestina (che noi chia¬

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