alla segreteria generale delPHistadrut) e i sindaci di tutte le città che contano. Anche prima del ritorno nel suo seno dei partiti Rafi e Ahdut Ha'avoda, e della sua conseguente trasformazione nel Partito operaio israeliano (gennaio 1968), il Mapai deteneva, con poco più di un terzo del suffragio popolare, il controllo completo della vita politica. Nessuno potrebbe divenire primo ministro senza esservi designato dalla segreteria del Mapai. Quindi Moshe Dayan prima di rientrare nel Mapai non aveva alcuna possibilità di succedere ad Eshkol. E ne era ben conscio, il che spiega perché ha caldamente appoggiato il ritorno del Rafi nel grembo materno, anche contro la violenta opposizione del suo vecchio maestro Ben Gu-rion. E tuttavia, anche dopo la riunificazione del Rafi con il Mapai, nessuno può garantire a Dayan la posizione di delfino riconosciuto, giacché il partito di maggioranza è fondamentalmente una vasta associazione di funzionari, grossi e piccoli, dai ministri del governo nazionale ai dirigenti degli uffici di collocamento locali. Non esistono fazioni permanenti, dai contorni netti; i raggruppamenti si formano in funzione di interessi transitori. Le decisioni sono il risultato di un processo vago, mal definito, che passa attraverso molte istituzioni, finché non si raggiunge una qualche forma di consenso. In un clima di questo tipo un uomo come Pinchas Sapir, il ministro delle Finanze, ha molte più possibilità di succedere ad Eshkol di un lupo solitario come Dayan.

Questo è dunque l'Establishment israeliano: ideologia unificante intrecciata con interessi costituiti, dogmi sionisti intrecciati con finanze di partito, convinzioni sincere intrecciate con fenomeni di clientelismo. E solo raramente tra i due ordini di realtà corre una linea divisoria netta. L'Establishment ha resistito al vento del mutamento, nel corso di un

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