pacifica della Regione, la trasformazione definitiva di Israele in uno Stato crociato armato.

E ciò non vale soltanto per l'annessione ufficiale, propriamente detta. Il prolungarsi dello status quo può generare un altro tipo di annessione attraverso centinaia di piccoli atti ed omissioni. In un luogo si crea temporaneamente, per appoggiare l'esercito di occupazione, un insediamento ebraico, in un altro un villaggio arabo abbandonato viene raso al suolo per « ragioni di sicurezza e sanitarie » (così qualche giorno fa, rispondendo a una mia domanda, si è espresso alla Kenesset Moshe Dayan). Se si accumulano fatti di questo tipo, può capitare di oltrepassare la soglia critica oltre la quale diviene impossibile far marcia indietro, e si avranno così i medesimi risultati dell'annessione ufficiale. L'annessione di fatto, « pratica », potrebbe costituire una continuazione del vecchio sionismo « pratico ».

La terza alternativa consiste nella promozione di una Repubblica araba palestinese. Insieme con i miei amici, io ho sostenuto questo progetto, al fine dell'integrazione di Israele nella Regione semitica, sin dal 1948, molto tempo prima della guerra dei sei giorni e dell'occupazione della Cisgiordania e della striscia di Gaza.

Nella situazione attuale, essa significherebbe in concreto un'offerta di assistenza da parte del governo di Israele agli arabi palestinesi per la costituzione di un loro Stato nazionale. Tale offerta sarebbe condizionata all'accettazione di una sistemazione federale tra Israele e la costituenda Repubblica di Palestina. Quest'ultima comprenderebbe la Cisgiordania e la striscia di Gaza. La Transgiordania dovrebbe potere aderirvi, se i suoi abitanti lo desiderano.

Gerusalemme diventerebbe - come città unificata - la capitale sia della federazione che di ciascuno degli Stati, risolvendo così (per una via che

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