9) i profughi arabi verrebbero invitati a costituire un proprio organismo rappresentativo, al fine di collaborare con Israele all'esecuzione del piano.

A nostro giudizio, se un tale progetto fosse stato messo in opera una buona parte dei profughi - probabilmente la maggioranza - avrebbe optato per l'indennizzo e la sistemazione all'interno del mondo arabo, e soltanto una minoranza sarebbe tornata nel paese. Era una soluzione concreta e insieme idealistica: la migliore che potesse realisticamente proporsi nelle condizioni esistenti sino al giugno 1967. La guerra dei sei giorni ha mutato radicalmente, nel bene e nel male, tali condizioni.

Questa guerra ha creato un nuovo problema di profughi. Mentre i profughi del 1948 sono rimasti a centinaia di migliaia nei loro campi esistenti nei territori conquistati fulmineamente dall'esercito israeliano durante i sei giorni fatali del giugno 1967, circa 250 000 palestinesi attraversarono il Giordano facendosi profughi in Transgiordania, e un numero leggermente inferiore di siriani abbandonò la ristretta striscia di terra occupata dall'esercito israeliano sull'altopiano di Golan.

Di nuovo, l'analisi degli avvenimenti è difficile. Poiché in Israele nessuno aveva previsto l'entrata in guerra della Giordania, a Tel Aviv non esisteva alcun piano preciso riguardo al problema di cosa fare degli abitanti dei territori conquistati, sia nel corso delle operazioni belliche sia nella fase immediatamente successiva. In assenza di un tale piano, i comandanti locali agirono di testa loro, facendo scelte diverse. Alcuni di essi, forse influenzati dal ministro della Difesa Dayan, sembrano aver incoraggiato un nuovo esodo arabo. Molti arabi se ne andarono volontariamente. La desolazione economica in cui le .autorità giordane e egiziane hanno lasciato la Cisgior-

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