si chiude a tutte le altre. Una volta scontata l'ineluttabilità della guerra, la pace diviene uno slogan privo di senso. Lo schema del conflitto domina allora incontrastato gli atti e i pensieri di tutti, e acuisce le inclinazioni guerriere di una nazione a scapito di quelle che sarebbero necessarie al successo della pace.

È ciò che è successo prima a Sparta e poi alla Prussia. Non sta succedendo oggi a noi la stessa cosa?

Israele è a un crocevia. La sua fase guerriera può non essere che temporanea. Le sue virtù militari potrebbero rimanere l'espressione di uno spirito nazionale ben equilibrato. All'opposto, Israele rischia invece di divenire uno Stato militarista destinato a dominare tutti i suoi vicini: una vera Prussia orientale. Finché durerà il conflitto, Israele non rinuncerà alle sue prodezze militari e non perderà la sua salute morale. Il pericolo che gli sta di fronte è l'esaurimento delle sue forze in una guerra permanente. « Vittoriosi sino alla morte ». Si vedono già apparire i segni percorritori di un altro fenomeno prussiano: la « fuga in avanti ».

Sono numerosi gli israeliani convinti che, giacché i carri armati non sono riusciti a « portare la pace » durante la guerra dei sei giorni, una nuova guerra (provocata dagli arabi) e la conquista di nuovi territori ricondurrebbero gli arabi alla ragione e, dando loro infine la lezione che si meritano, li deciderebbero a fare la pace. Ciò è un'idiozia. Per solide che siano le sue mura, Israele non sarà mai altro, finché non si raggiunga una soluzione politica, che una fortezza assediata.

Può accadere che Israele smarrisca così rapidamente ogni inclinazione pacifica da far divenire sul serio quest'uitima una mera utopia. Nel campo av¬

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