sibile. Dovremo batterci di nuovo, e poi ancora di nuovo. Non possiamo farci nulla ».

Questo tipo d'idee è solidamente ancorato negli spiriti, e estremamente difficile da demolire. Hussein o Nasser fanno un discorso moderato? Immediatamente l'israeliano l'interpreta come una prova della loro doppiezza. Egli si dice: « E quand'anche fossero sinceri, forse che sono padroni della situazione? E perché, se vogliono davvero la pace, i loro soldati ci sparano addosso? ».

Se Israele disponesse duna classe politica paragonabile a.quella inglese o francese, questi ragionamenti semplicisti non avrebbero importanza. Ma da noi non c'è nulla del genere. I punti di vista espressi in un caffè di via Dizengoff a Tel Aviv si ritrovano identici - veste più solenne a parte - alla Kenesset. Gli stranieri hanno difficoltà a convincersi di questo fatto, ma esso non è perciò meno vero.

In un certo senso, i circoli politici fanno mostra di uno sciovinismo più marcato di quello del grosso pubblico, e la cosa si spiega con il fatto ch'essi sono assai più di questo impregnati dei tradizionali atteggiamenti sionisti. In effetti l'opinione pubblica israeliana è, nonostante tutto, sorprendentemente moderata. Inoltre gli israeliani più sono giovani e meno sono sciovinisti. L'esercito, la più giovane tra le istituzioni del paese, è nel suo insieme assai più ragionevole del governo.

Se oggi stesso si offrisse al pubblico israeliano la alternativa tra l'annessione senza la pace e la pace senza annessione, quest'ultima sarebbe preferita a grande maggioranza. Ma il pubblico israeliano una tale scelta non riesce neppure a immaginarla come possibile.

E tuttavia io sono convinto che tale scelta è ben reale, anche se deve essere formulata diversamente.

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