Establishment preferisca il dogma della Pace Impossibile ad una soluzione più complessa, che lo costringerebbe a prendere delle decisioni.

Avviene così che due anni dopo la guerra gli israeliani sono immersi in una situazione la quale, ancora una volta, non è che un'immagine riflessa dell'eterno circolo vizioso. Ogni settimana lo stato di guerra permanente che imperversa lungo le linee del cessate il fuoco e le azioni terroristiche costano la vita a numerosi israeliani. I giornali pubblicano quasi tutti i giorni la fotografìa della vittima del giorno precedente: si tratta sempre di un uomo giovane, dall'aspetto gentile e simpatico.

Oggi i contribuenti pagano per la sicurezza del paese circa il triplo di quanto pagavano l'anno precedente la guerra dei sei giorni. È il prezzo della vittoria.

Questo stato di cose ha finito col sembrare normale, inevitabile e destinato a durare per sempre. Questo è d'altronde ciò che ripetono a ogni ora del giorno la radio, la televisione, tutte le riviste e i giornali a grande tiratura (beninteso con l'eccezione di « Ha'olam Hazeh »), e tutti i discorsi pubblici. Per esprimere un'opinione diversa occorre una forte indipendenza mentale. Ma non si tratta del classico lavaggio dei cervelli organizzato da un qualche tenebroso ministro addetto al controllo dei pensieri, bensì piuttosto dell'espressione di un sentimento unanimemente condiviso da tutti gli ambienti della società israeliana, impregnata di un sionismo modellato da novanta anni di guerra e ulteriormente rafforzato dalle reazioni arabe.

Quali sono queste reazioni arabe? La prima

reazione dei palestinesi fu quella che segue una scossa violenta. A Hebron e a Nablus la gente dovette pen-

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