dignità con un gesto che compensasse l'umiliazione subita. Questi motivi si possono comprendere. Ma come perdonare un tale errore? Esso comprometteva il destino di due nazioni. Khartum consolidò lo status quo, e lo status quo era l'occupazione israeliana. Le scelte fatte allora hanno dominato la scena politica nei due anni successivi. Durante questo periodo il mondo è andato assuefacendosi a tale occupazione, e quanto a loro gli israeliani hanno fatto di tutto per renderla permanente. Come oggi tutto sarebbe diverso se l'iniziativa cui Nasser e Hussein si decisero nell'aprile 1969 fosse stata presa nel settembre 1967!

La dichiarazione di Khartum significò per i palestinesi che vivevano in zona occupata l'apertura di una nuova fase: quella dell'attesa. Che cosa attendevano, e da chi? Senza dubbio una qualche forma di sistemazione che li liberasse dell'occupazione militare senza imporre loro nuove distruzioni. Forse avrebbe fatto qualcosa il re? O forse Nasser? O gli

americani? O i russi? O forse gli stessi israeliani? È in questa attesa che i giornali venivano letti, studiati, analizzati. Le voci si succedevano alle voci. Si raccontava ad esempio che una persona arrivata in mattinata a Ramallah da Amman aveva saputo da una

personalità dell'entourage del re che gli americani non avrebbero tardato a buttar fuori gli israeliani. Ma un altro, arrivato più tardi nello stesso giorno a Betlemme e proveniente ugualmente da Amman, riferiva che nessuno in Giordania aveva minimamente a cuore il destino dei palestinesi, e che quindi costoro dovevano cavarsela da soli.

Durante tutto questo tempo la popolazione sopportava l'occupazione con dignità, collaborando con l'occupante per i servizi essenziali senza fornirgli alcun traditore. Le autorità di occupazione si comportavano il più correttamente possibile, e si sforzavano, riducendo al minimo la brutalità, di evitare gli urti.

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