ad accettare la ricostituzione di quelle frontiere.

Nell'aprile 1969 Golda Meir dichiarava che le frontiere del maggio 1967 erano « morte esattamente allo stesso modo delle linee di spartizione del 1947 ».

Ma assai prima di ciò gli atteggiamenti della popolazione dei territori occupati erano mutati, e aveva preso forma una vera e propria opposizione. Solo un uomo come Moshe Dayan, con il suo supremo sprezzo per l'esperienza altrui, poteva credere che i palestinesi avrebbero accettato indefinitamente l'occupazione israeliana (e non importa quanto « liberale » potesse essere). A questo proposito un arabo di Gerusalemme si espresse così: « Se ho una scheggia nell'occhio, mi importa poco che sia di ferro oppure d'oro! ».

Anche l'occupazione più cauta e intelligente non può evitare di causare umiliazioni. Queste provocano il sabotaggio, che a sua volta si porta dietro le rappresaglie, le quali generano il terrorismo, cui risponde infine il controterrorismo. Ed ecco creato un nuovo circolo vizioso.

Un anno fa, nel corso di un incontro con i

notabili di Nablus, chiesi se avessero da formulare lagnanze specifiche. Mi risposero che l'unica loro lagnanza riguardava il fatto stesso dell'occupazione. Due settimane fa ho posto la medesima domanda alle stesse persone. Questa volta hanno risposto elencando una folla di lagnanze particolari. Essi accusano gli israeliani di aver arrestato a Nablus più di 500 persone, di non averle sottoposte a processo e di avere torturato sistematicamente i sospetti per ottenerne informazioni. Venti edifici sono stati fatti saltare con la dinamite a titolo di rappresaglia contro le famiglie dei sospetti. Parecchi capi sono stati cacciati e costretti a passare in Transgiordania. Durante - e dopo - le manifestazioni la polizia ha picchiato^ donne e bambini.

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