di un fenomeno nuovo: la nascita di organizzazioni di combattimento palestinesi. Agli occhi degli arabi esse passano per eserciti di resistenza e di liberazione. Per gli israeliani non sono invece che bande di terroristi e di sabotatori. Io non farò analisi semantiche per arrivare a definirle. Accontentiamoci semplice-mente di osservare che quando si tratta del nostro paese si parla sempre di combattenti per la liberazione, mentre quando si tratta del nostro avversario questi divengono invariabilmente dei terroristi.

Prima della guerra queste organizzazioni non erano che un fantasma, simile a quello del padre di Amleto: il fantasma di un nazionalismo che si rifiutava di morire. Tagliate fuori del mondo arabo, ugualmente fastidiose per l'Establishment arabo come per quello israeliano, erano condannate alla condizione di meri strumenti della politica siriana. La loro potenza militare e politica era trascurabile, anche se aveva prodotto come sbocco finale la guerra dei sei giorni.

La guerra doveva avere effetti decisivi sulle organizzazioni terroristiche, di cui ha fatto una delle forze principali dei mondo arabo: la sola anzi che riuscisse a salvare l'onore arabo (e si sa l'importanza che il senso dell'onore e della dignità riveste nella cultura delle società arabe). La clamorosa débàcle seguita alla guerra dei sei giorni aveva distrutto tre anni di esasperate vanterie. L'efficienza, il coraggio, le prodezze militari degli arabi: tutto ciò diveniva materia di una presa in giro universale. L'onore sembrava irrimediabilmente perduto. Fu allora che un piccolo gruppo di combattenti riprese - con mezzi rudimentali - la lotta contro il nemico vittorioso. Il mondo arabo lo accolse con l'ammirazione che si può facilmente immaginare. Il fatto che dal punto di vista militare la sua lotta fosse senza speranza non diminuiva in nulla tale ammirazione. Al contrario.

Inoltre, occorre considerare che sino al giugno

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