1967 le organizzazioni palestinesi s'erano battute avendo di mira come esclusivo obiettivo la distruzione di Israele. Questo obiettivo non poteva essere approvato dalla comunità mondiale, che aveva accettato l'esistenza di Israele de jure, e neppure dal resto dal mondo arabo, che da parte sua, nonostante tutte le proteste in contrario, l'aveva accettata de facto.

Dopo il giugno 1967 la guerriglia si batte anche per la liberazione dei territori occupati, che nessuno nel mondo ritiene proprietà legittima d'Israele. Così essa riceve oggi, in quanto forza di resistenza, importanti aiuti materiali, e raccoglie simpatie alle quali non avrebbe mai potuto aspirare all'epoca in cui passava per sabotatrice della pace. I governi arabi, i quali prima del 1967 potevano permettersi di opporsi alle organizzazioni palestinesi - cosa che effettivamente facevano - oggi non osano più.

Infine, resuscitando la Palestina Israele ha paradossalmente fornito al nazionalismo palestinese il sentimento - nuovo - di possedere uno scopo e un punto di riferimento precisi. Per la prima volta dopo il 1948 la Palestina è unificata e governata da un'unica potenza: quella del nemico. Ricordiamo, per fare alcuni esempi, che India e Algeria furono ambedue unificate per la prima volta dagli invasori stranieri. Per la prima volta dopo il 1948 i palestinesi di Cisgiordania hanno potuto incontrare i palestinesi di Gaza e riaffermare, dopo essersi sbarazzati delle rispettive tutele egiziana e giordana, la propria comune identità nazionale. Israele ha dunque reso alla Palestina un grande, anche se involontario, servizio. Di più, ha offerto alla vita del suo popolo un nuovo scopo: la lotta contro l'occupante. Si sono visti figli di famiglie ricche rinunciare ai loro studi presso le università straniere per attraversare il Giordano e introdursi nel territorio controllato da Israele: azione che equivale ad un vero e proprio suicidio.

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