Nei campi delle organizzazioni di combattimento la nazionalità palestinese diviene un fatto umano e politico. Per affrontare l'esercito israeliano, così altamente efficiente, i palestinesi devono mettersi alla sua altezza. Come mi diceva l'altro giorno uno di loro: « Che lo vogliate o no, voi state insegnandoci a batterci, facendo così di noi un popolo nuovo ».

Oggi le organizzazioni di combattimento palestinesi sono divenute un fattore importante. Esercitano una influenza crescente nel mondo arabo, fanno concorrenza ai vari Establishment arabi (di cui minano le basi) e danno loro il la dell'evoluzione politica. Controllano vaste aree in Transgiordania, dove hanno creato una sorta di « zona liberata » con un proprio sistema di scuole, imposte, prigioni e ospedali.

In che misura questa nuova forza influenzerà la battaglia per la pace?

La risposta a tale domanda è chiara e senza incertezze. Gli attentati contro donne e bambini organizzati da alcune di queste organizzazioni pregiudicano la loro immagine pubblica. Ugualmente le rivendicazioni grottesche del tipo della pretesa di aver ucciso Levi Eshkol o ferito Moshe Dayan danneggiano la loro reputazione e le fanno passare per dei buffoni senza importanza.

Ma se maturassero sino al punto da divenire un'autentica forza nazionale, tali organizzazioni potrebbero facilitare il raggiungimento della pace. Se io ho ragione quando affermo che la nazione palestinese è il partner decisivo per creare un assetto pacifico nella Regione, allora il ruolo possibile delle organizzazioni di combattimento - d'una di loro o di tutte insieme - non corre rischi di sopravvalutazione. Una nazione non può fare la pace se non ha il rispetto di sé. Restituire ai palestinesi il rispetto di se stessi, il senso della loro dignità, della loro indipendenza

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