secondo il suo schema classico. Ciò è talmente evidente che anche gli ideologi di al Fath cercano il modo di sfuggire a questo dilemma teorico. Ma la risposta da loro elaborata è almeno altrettanto poco realistica della precedente. Secondo la dottrina in questione, la società israeliana finirà, a un certo punto, col disgregarsi. Gli israeliani d'origine orientale, « i quali in effetti non sono che degli arabi che hanno abbracciato la fede ebraica », romperanno con i loro padroni europei e si uniranno ad al Fath, assicurando con ciò la vittoria.

Chiunque abbia una conoscenza anche superficialissima della realtà israeliana sa che, per ragioni che non è il caso di indagare in questa sede, gli ebrei di origine orientale costituiscono, nella loro grande maggioranza, gli elementi più tenacemente antiarabi del nostro paese. La differenza tra ebrei occidentali e orientali può bensì creare problemi - anche gravi - in tempo di pace, ma svanisce nell'ora del pericolo. Gli israeliani preoccupati da questo problema non hanno che da augurarsi la continuazione per l'eternità della guerra tra Israele e gli arabi. Al Fath è il grande fattore di unificazione degli ebrei, esattamente come Israele lo è dei palestinesi. Infine, credere che una qualche forma di socialismo utopico sia in grado di cancellare il nazionalismo dei nostri tempi è concezione ancora meno realistica (vedi il caso della Russia e della Cina).

Una volta riconosciute le numerose stravaganze presenti nell'ideologia di al Fath, su che cosa si fonda dunque il mio ottimismo?

Finché Israele non offrirà ai palestinesi una scelta chiara tra una pace giusta e una guerra interminabile, le organizzazioni di combattimento rimarranno fattori compositi e ambigui di distruzione e di resistenza. Ma se si offre la scelta tra la prospettiva di una

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