L'economia egiziana era in rovina. Nasser si trovava a dipendere dagli aiuti dei regimi arabi reazionari che odia, e andava perdendo l'Arabia meridionale. Lo slancio rivoluzionario arabo era a un punto morto.

Infine, cosa ancora più grave, lungo il Giordano poteva scoppiare la guerra in qualsiasi momento, e non gli sarebbe stato possibile rimanervi indifferente. Ma un intervento, necessario per salvare l'onore, gli avrebbe imposto di scegliere tra una sconfitta distruttiva e una massiccia partecipazione sovietica, che avrebbe finito per ridurre l'Egitto alla condizione di satellite della Russia. E tutto ciò mentre i palestinesi divenivano gli eroi del mondo arabo e, minacciando il suo regime, minavano la sua posizione personale.

Nasser non poteva rinunciare al dogma ufficiale del rifiuto della trattativa. Subiva le conseguenze di Khartum. Non poteva fare altro che alternare discorsi bellicosi ad allusioni moderate: era il solo modo di soddisfare tutti. Si riferisce di lui la seguente frase, che sarebbe stata pronunciata in presenza di visitatori stranieri: « Finché non ci saremo seduti allo stesso tavolo insieme con gli israeliani io non avrò perso la guerra, ma solamente una battaglia ». In teoria la sola via d'uscita possibile restava dunque la soluzione politica secondo le linee della risoluzione del Consiglio di sicurezza del 22 novembre 1967, senza passare attraverso veri e propri negoziati con gli israeliani.

Ma gli israeliani, che non tengono affatto a togliere le castagne dal fuoco a suo vantaggio, insistono al contrario sul principio dei negoziati diretti. La loro speranza è che Nasser si trovi seniore nell'impossibilità di accettarli, in modo ch'essi possano conservare il pieno possesso dei territori conquistati.

Tali erano le rispettive posizioni nel gennaio 1969, quando - proprio nel momento in cui l'allarme delle

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