grandi potenze cominciava a farsi grave - l'amministrazione Nixon assunse il potere.

Nessuna delle potenze era in grado di valutare con serenità lo status quo mediorientale. Mosca aveva paura di veder crollare l'Egitto nasseriano, sua base principale nella Regione. Non poteva continuare indefinitamente a riempire il barile bucato dell'economia egiziana. Inoltre l'apertura del canale era indispensabile ai russi per penetrare nel Golfo Persico e stabilire collegamenti veloci con l'India, loro alleata contro la Cina.

Washington non aveva obiezioni a questo quadro. Gli americani non volevano il rovesciamento di Nasser, temendo la situazione di anarchia che vi avrebbe fatto seguito. Nel mondo arabo qualsiasi sconvolgimento potrebbe produrre la scomparsa di quei re e sceicchi del petrolio da cui dipendono rilevanti interessi economici americani. (La Russia non tiene invece affatto a mettere le mani su tale ricchezza petrolifera. Non c'è mercato in Unione Sovietica per questo petrolio, e non ci sarà per parecchi anni a venire. Gli economisti russi rabbrividiscono all'idea che forse toccherà loro trattare l'acquisto di petrolio con governi arabi filosovietici, una volta sconfitto l'« imperialismo americano ».)

Ma tutte queste considerazioni perdevano importanza di fronte a due elementi fonti di gravissime preoccupazioni.

Il primo era la possibilità che una fiammata improvvisa nella Regione, analoga agli avvenimenti del maggio-giugno 1967, creasse da un giorno all'altro le premesse di uno scontro generalizzato, conducendo le grandi potenze sulla soglia della guerra nucleare. L'introduzione di reattori nucleari nella Regione conferisce a tale pericolo caratteristiche di terrificante verosimiglianza per le due capitali mondiali.

Mosca e Washington temono infine ambedue che

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