piccolo ma solidamente strutturato e abilmente diretto. La terza fase cominciò il 15 maggio 1948. La resistenza opposta dai palestinesi al piano di spartizione delle Nazioni Unite fu infranta dal nascente nuovo esercito israeliano, e in suo soccorso vennero allora gli eserciti regolari degli Stati arabi confinanti. Era l'« arabizzazione » della guerra, la fase in cui l'intero popolo arabo fu trascinato nella lotta. Carri armati, caccia e artiglieria sostituirono i fucili e le pistole.

È difficile oggi rendersi conto di quanto recente sia in effetti tale fase. Non molto tempo prima della guerra del 1948 il primo ministro egiziano, Nahhàs Pascià, salutò cordialmente i membri della vecchia Orchestra filarmonica ebraica di Palestina (ora Orchestra filarmonica d'Israele), che stava dando un concerto di gala al Cairo. Un ritratto del segretario generale della Lega araba e di Moshe Sharett che si stringono la mano comparve sulla prima pagina della rivista che io ora dirigo.

La quarta fase, i cui inizi si intrecciano con gli ultimi stadi della precedente, fu contrassegnata dalla « giudaizzazione » del conflitto. Gli ebrei di tutto il mondo furono ora coinvolti nella tempesta che montava. Ben presto ogni ebreo, dovunque si trovasse, considerò suo dovere appoggiare le ragioni di Israele e aiutare quest'ultimo in tutti i modi possibili (e contemporaneamente il mondo arabo cominciò a guardare ad ogni ebreo come a un nemico). Oggi in

parecchi luoghi le organizzazioni antisemite sono finanziate da denaro arabo: davvero un notevole paradosso, giacché qualsiasi successo dell'antisemitismo non può che portare ad Israele altri ebrei e altro denaro ebraico.

Dopo la guerra dei sei giorni è divenuto chiaro che tutti gli arabi stanno di fronte a tutti gli ebrei in una lotta mortale. Le eccezioni sono pochissime.

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