mente può essere considerato più utile. Esso manca di riconoscere il fatto che il popolo di lingua ebraica di questo paese non è un gruppo religioso, ma una nazione decisa a mantenere la propria identità politica, incarnata nello Stato d'Israele. Qualsiasi piano che poggi sulla cancellazione dello Stato d'Israele non serve la pace ma la guerra, perché la sua realizzazione dipende dalla sconfitta e dall'abbattimento dello Stato d'Israele sul campo di battaglia. Una guerra mondiale nucleare è ipotesi assai più verosimile di questa.

Il movimento dei feda'iyyln non è permeato da un'autentica utopia sociale; esso è un movimento patriottico palestinese, che manifesta in tutti i suoi atti e simboli atteggiamenti improntati ad un nazionalismo estremistico. Il suo vero scopo è palesemente non già un utopistico Stato non-nazionale o binazio-nale, ma uno Stato nazionale dei palestinesi, in cui gli « ebrei » sarebbero nel migliore dei casi tollerati come comunità religiosa, privata dei diritti propri di una nazione. C'è una grande affinità tra quest'idea e quella di un Grande Israele, che coprirebbe lo stesso territorio, ma in cui sarebbero gli arabi ad essere tollerati come singoli senza vedere riconosciuti la loro identità e i loro diritti nazionali. Ma io sono convinto che sotto la superficie del movimento guerrigliero palestinese sono all'opera tendenze diverse, solo oscuramente percepite dagli stessi feda'iyyln. È significativo che al Fath, dopo aver rapito a Metulla un vecchio guardiano notturno, chiese al governo israeliano di avviare negoziati diretti sulla sua sorte. La cosa è piuttosto curiosa, se si pensa che al Fath non riconosce neppure l'esistenza di Israele. Anche Yasser Arafat difficilmente potrebbe pensare che valga la pena di condurre negoziati con il governo israeliano intorno alla cancellazione dello Stato d'Israele. (Il gabinetto Meir respinse la proposta di negoziati, giacché non riconosce l'esistenza della nazione palestinese,

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