e quindi ancor meno quella delle organizzazioni combattenti.)

Io credo che con il procedere della lotta il nuovo movimento palestinese, acquistando una sempre maggiore fiducia in se stesso e una sempre più decisa indipendenza dagli Stati arabi, arriverà gradualmente a prender coscienza della realtà, e cioè del fatto che in questo paese vivono sia la nazione israeliana che la nazione palestinese. I palestinesi dei territori occupati sono riusciti ad accettare questa idea, anche se non necessariamente con piacere. La loro rivendicazione di uno Stato palestinese che viva fianco a fianco con Israele come parte del mondo arabo è divenuta sempre più insistente.

La battaglia per l'anima della nazione palestinese è anch'essa lontana dalla sua conclusione.

Palestinesi e israeliani stanno ancora combattendo dopo novant'anni. Nessuna delle due parti riconosce ancora l'altra, e ognuna si batte contro le creature della propria immaginazione. Ma nei combattimenti sono uomini in carne ed ossa che muoiono.

I pessimisti troveranno abbondanti ragioni con cui giustificare il loro atteggiamento. L'ottimismo è invece assai più difficile da argomentare.

Ma per tutti - pessimisti e ottimisti - non c'è alternativa alla conclusione che nessuna soluzione è possibile se non sulla base del mutuo riconoscimento delle due nazioni che vivono in questo paese, e di una pace che tale riconoscimento abbia a suo fondamento. L'unico problema aperto è se questa soluzione sarà ottenuta dall'intelligenza degli uomini senza nuovi bagni di sangue, oppure dall'umana sofferenza, a partire dalla montagna di cadaveri di una nuova guerra.

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