nessuno l'avesse voluta, con tutti i protagonisti che si comportavano come attori che rappresentassero un copione scritto da un drammaturgo celato dietro le quinte, e pronunciassero parole scritte da qualcun altro; e tutto secondo una logica interna che nessuno intende pienamente.

Tale logica era il risultato di avvenimenti risalenti a settanta e più anni prima, ma a cui tutto ciò che accadde in quel mese è strettamente connesso. Questi eventi, le loro ragioni, gli atteggiamenti che hanno prodotto, l'intero circolo vizioso di cui la guerra di giugno non è che un elemento: ecco l'argomento di questo libro.

Il 15 maggio era un giorno splendido, assolato e caldo. Era il Giorno dell'Indipendenza, la più grande festa dell'anno, in cui la nascita dello Stato d'Israele nel mezzo della guerra viene commemorata da una parata militare. Quell'anno la parata si teneva a Gerusalemme, ed era quindi assai modesta. Infatti secondo gli accordi di armistizio né ad Israele né alla Giordania era consentito introdurre carri armati, artiglieria e aerei militari nella zona di Gerusalemme, e il nostro governo si conformò, più o meno, a queste restrizioni. Sfilarono solo unità di fanteria. Ma ad applaudire l'esercito, che giuoca una parte così grande nella nostra vita nazionale, vennero 200 000 israeliani, cioè un dodicesimo dell'intera popolazione.

Quel giorno non c'era alcuna ragione di ansietà. Lo Stato appariva più sicuro che mai, e la guerra lontana. Certo, sulla frontiera siriana negli ultimi mesi c'erano state noie continue: infiltrazione di

commando che piazzavano bombe negli insediamenti di confine, kibbuzim che ogni tanto ricevevano qualche granata. Tutti sentivano che prima o dopo sarebbe stato necessario far qualcosa, e forse assai presto. Un attacco in grande stile del nostro esercito

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