Israele se questi avesse attaccato la Siria, senza peraltro suggerire una qualsiasi soluzione al problema che agli occhi di Israele rendeva necessario un tale attacco alla Siria. Era come se ci dicesse: « I terroristi invaderanno Israele in numero sempre maggiore, e la vita in Israele diverrà sempre più intollerabile. Ma se reagite vi distruggeremo ». Così veniva visto il comportamento di Nasser in Israele. L'abisso psicologico che separa le due nazioni è talmente grande che Nasser non riuscì - né avrebbe potuto - ad accorgersene in tempo.
Ugualmente Nasser non comprese la reazione
automatica di Israele nel momento in cui apprendeva che una potente forza militare stava concentrandosi alle sue frontiere. Il nostro paese è piccolo, molto più piccolo di quanto la maggior parte del suo popolo si renda conto. La nostra sicurezza poggia innanzitutto sulla nostra capacità di distogliere - con il prestigio del nostro esercito - ogni nemico dalla idea di minacciare la nostra esistenza; e in secondo luogo, se questo deterrent fallisce, sulla capacità di colpire per primi e di vincere rapidamente, evitando così una invasione del nostro angusto territorio. Quando fece marciare le sue truppe per le vie del Cairo, con trombe e tamburi, e le fece passare sotto le finestre dell'ambasciata americana (invece di mandarle al fronte in silenzio), Nasser sperava di intimidire Israele e di dissuaderlo dal prendere iniziative militari. In realtà ottenne l'effetto esattamente opposto. Minacciando la nostra frontiera egli fece suonare il campanello nascosto nell'inconscio di ogni israeliano, quel segnale che trasforma in un attimo Israele da paese pacifico in accampamento armato. È la psicologia della fortezza assediata: basta che una sentinella sulla torre dia l'allarme annunciando che il nemico si avvicina, e tutti si precipitano sui bastioni.