lemme non ebbe il minimo effetto. Tutte le iniziative annunciate apparivano irrilevanti a confronto di un'osservazione che Nasser aveva fatto abbastanza casualmente, inconsapevole di star buttando una bomba (dopo tutto per orecchie arabe non era che routine, e anche moderata): egli aveva detto nel corso della conferenza stampa che un attacco di Israele alla Siria o all'Egitto avrebbe provocato una guerra in cui lo scopo degli arabi sarebbe stato la distruzione definitiva dello Stato d'Israele. Nell'atmosfera dominante in quel momento, dopo centinaia di minacce uguali o peggiori sentite da radio Cairo, non può sorprendere che la prima parte del discorso rimanesse trascurata, o apparisse come un futile abbellimento. Il fatto importante era la minaccia esplicita di distruggere lo Stato d'Israele, di annientare ogni singolo uomo, donna e bambino.

Due giorni più tardi, mentre Israele stava ancora rimaneggiando il suo governo, Nasser commise il suo ultimo errore di calcolo. Cercando il modo migliore di scongiurare un attacco israeliano, convocò al Cairo il re Hussein di Giordania. Con il che intendeva ammonire gli israeliani che l'eventuale guerra sarebbe stata combattuta lungo tutte le lunghissime e indifendibili frontiere del loro paese. L'effetto fu una scarica di elettricità. Se ancora rimaneva in Israele qualche incertezza, essa scomparve immediatamente. Il patto militare egizianogiordano dava corpo ad uno spettro temuto da ogni israeliano: la possibilità di un grande esercito arabo, comprendente egiziani ed iracheni, che attaccasse non solo la frontiera meridionale, relativamente distante, ma anche quella giordana, assai più vicina e più esposta. (Dalla finestra del mio appartamento, sul litorale di Tel Aviv, riesco a scorgere facilmente a occhio nudo il confine giordano, che è a portata d'artiglieria.) La notizia che re Hussein si era alleato

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