con il suo arcinemico Nasser, ponendo il suo esercito sotto comando egiziano ed accettando di consentire agli eserciti arabi di unirsi al proprio sul fronte israeliano, poteva significare una cosa sola per i miei compatrioti: che dovevano colpire immediatamente distruggendo l'esercito egiziano prima che qualcuno avesse il tempo di entrare in Giordania.

Il giorno successivo il generale Moshe Dayan fu portato al governo dall'immensa pressione dell'opinione pubblica, e nominato ministro della Difesa. Il governo si ampliò per includere tutti i partiti maggiori. Fuori della nuova coalizione rimasero soltanto 12 deputati su 120, e io ero tra questi. L'entrata nel gabinetto di Dayan, un uomo identificato con le più estremistiche posizioni antiarabe, significava naturalmente che il governo aveva deciso che l'attacco doveva essere scatenato immediatamente. Mentre Nasser si cullava nell'illusione che le sue ultime manovre avessero allentato la tensione, in Israele avveniva la messa a punto finale del piano di guerra. L'esercito era pronto a colpire.

Nell'assumere il suo nuovo incarico Dayan disse, alludendo all'inimicizia tra lui ed Eshkol: « Ci son voluti 80 000 soldati egiziani per portarmi qui ». Era vero alla lettera. Nasser era riuscito, con la sua serie di errori, a spingere Israele in una guerra da questi non voluta, e ch'egli non poteva vincere.

E tuttavia, se si passa in rassegna il comportamento di Nasser durante la crisi, si rimane colpiti dall'inevitabilità di tutti i suoi atti, come pure della reazione israeliana. Tutto era già accaduto prima, e più volte, a cominciare dall'inizio del secolo. Considerati come una vicenda conclusa in se stessa, gli eventi che hanno condotto a questa guerra, in cui sono morti decine di migliaia di arabi e settecento israeliani, possono apparire ridicoli. Ma considerati come un ennesimo capitolo della storia delle

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