inferiore; ha mutato il suo linguaggio, il suo ambiente, la sua cultura; ha prodotto un taglio netto e integrale con la sua vita precedente, e gliene ha costruito un'altra. Rivoluzioni di questa portata sono rare nella storia degli uomini. Guardando indietro alla ricerca di un precedente anche vagamente comparabile, si può pensare soltanto alla prima crociata o al viaggio dei Padri Pellegrini. Grandi movimenti storici come questi, che mutano il corso degli eventi e la faccia del mondo, debbono essere considerati nel loro insieme. È assolutamente futile spezzettarli, tentare di notomizzarli individuandone solo alcune caratteristiche, e immaginare di averne conquistato in questo modo il nocciolo.
E tuttavia anche tali movimenti sono figli di un tempo e di un luogo, e per intendere il sionismo è necessario conoscere quando e dove è nato. L'atto di nascita ufficiale lo dichiara frutto della scoperta di un uomo, Theodor Herzl, un barbuto giornalista viennese, alla fine dello scorso secolo. Un'immagine di Herzl, che ricorda un antico re assiro, è appesa davanti al mio seggio alla Kenesset, unico elemento decorativo in tutta l'aula.
Herzl si sforzava di trovare una soluzione al problema costituito dalla situazione degli ebrei in Europa. Giornalista in Francia, fu profondamente impressionato dai sentimenti antisemiti esplosi durante l'affare Dreyfus, e maturò la convinzione che gli ebrei non sarebbero mai riusciti a trovare un posto nella comunità europea, e che quindi dovevano formare una nazione autonoma. Il sionismo fu così un prodotto diretto dell'ideologia nazionale dell'Europa ottocentesca.
In un'epoca in cui l'idea nazionale era universalmente diffusa, arrivando a coinvolgere i più arretrati popoli dell'Europa orientale, anche gli ebrei ne furono toccati. Questi ebrei non costituivano una