ebrei come una curiosa aggiunta al panorama, quantitativamente troppo modesta per introdurre novità di rilievo. Fu soltanto quando le relazioni tra i due popoli cominciarono a raggiungere il livello politico che prese ad emergere lo schema della situazione futura.

All'inizio del secolo uno spirito nuovo pervadeva l'impero turco. Il sultano turco Abd ul-Hatmd, il quale aveva previsto che il movimento nazionale avrebbe mandato in pezzi il multinazionale impero degli ottomani e aveva perciò brutalmente soffocato ogni manifestazione nazionalistica da parte degli arabi, fu liquidato dal sorgere dei Giovani Turchi, i quali erano nazionalisti turchi. Il successo dei Giovani Turchi fece sperare i nazionalisti arabi, i quali credettero che i riformatori turchi avrebbero mutato la struttura dell'impero ottomano concedendo agli arabi almeno una qualche forma di autonomia e dei canali di espressione nazionale. Tali speranze andarono presto deluse: i generali e i politici turchi che avevano rilevato l'impero moribondo nel vano tentativo di guarire il « corpo malato » dell'Europa, non avevano alcuna intenzione di riconoscere nazionalismi diversi dal proprio. Fu in quel momento che arabi e sionisti stabilirono il primo contatto politico. In sé la cosa fu di poco conto e transitoria, ma il suo significato fu profondo.

Gli intrighi e le lotte interne all'impero ottomano misero la leadership sionista di fronte alla prima vera scelta: si doveva appoggiare gli arabi contro i turchi o i turchi contro gli arabi? Tra i funzionari sionisti che risiedevano in Palestina e a Costantinopoli emergevano, anche se timidamente, delle idee nuove. Qualcuno arrivò ad intrawedere, se pure in modo incerto, l'attuabilità di un'alleanza con gli arabi nella loro lotta contro il mostro turco; ma le loro

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