l'altra via, quella invocata da Lawrence e dai suoi amici. Furono mantenuti i contatti con Faisal. Il principe arabo (un condottiero del deserto piuttosto disorientato dalle tortuosità della diplomazia mondiale) simpatizzava senza riserve con l'idea di una comunità ebraica in Palestina sotto la sua corona. Nel suo mondo tribale la razza conservava una grande importanza, e l'idea che gli ebrei erano degli autentici membri della famiglia semitica giocava un grande ruolo nel suo pensiero. In un messaggio che oggi suona del tutto incredibile egli si scusava di non poter partecipare a una conferenza sionista - per ragioni strettamente tecniche - e aggiungeva che tali conferenze erano importanti per far progredire la comprensione tra « le due nazioni legate da antichi vincoli ». Ancora, in una lettera al leader ebreo americano Felix Frankfurter affermava:
Noi sappiamo che la razza ebraica e quella araba sono imparentate [...] Noi faremo tutto il possibile (nella misura in cui dipende da noi) per agevolare l'accettazione da parte della Conferenza della pace delle proposte sioniste, e daremo il benvenuto con tutto il cuore agli ebrei che ritornano in patria. Il movimento ebraico è nazionale e non imperialistico, il nostro movimento è ugualmente nazionale e non imperialistico, e in Siria c'è posto per ambedue i popoli. In verità io ritengo che nessuno dei due possa raggiungere un successo effettivo senza l'altro.
Due mesi prima era stato concluso, sotto gli auspici di Lawrence, il famoso accordo Weizmann-Faisal. Nel suo preambolo esso riconosceva la « affinità razziale e gli antichi legami esistenti tra i popoli arabo ed ebraico », ed esprimeva la convinzione che « il mezzo più sicuro per realizzare le loro aspirazioni nazionali sta nella più stretta collaborazione reciproca ». L'accordo impegnava l'organizzazione sioni¬