molte cause cui il fenomeno è stato attribuito - di ordine politico, sociale o culturale - nessuna è interamente soddisfacente.
I crociati, come i sionisti, ci sollecitano a chiederci che cosa spinge improvvisamente un popolo a lasciare le sue case e la sua vita confortevole, a marciare per migliaia di miglia tra insidie innumerevoli fino a un paese remoto e privo di attrattive, e a vivervi nelle condizioni di una lotta ininterrotta, combattuta contro disagi sconosciuti e un nemico implacabile. Quale mescolanza di visioni di gloria, di idealismo altruistico, di brama di saccheggio, di disgusto per la vecchia vita e di promessa di una nuova Gerusalemme solo oscuramente immaginata fu necessaria per mettere in moto una tale travolgente ondata?
I crociati ebbero il loro « Herzl » nel papa Urbano; il loro « primo congresso sionista » fu il concilio di Clermont, svoltosi nel novembre 1095, otto-centodue anni prima della storica assemblea di Basilea. Il grido « Dio lo vuole » riecheggia nel grido « Andiamo, figli di Giacobbe », divenuto il motto della prima aliyah sionista.
Ma tra gli obiettivi consapevoli dei due movimenti corre una differenza significativa. I crociati andarono in Palestina per strappare la Terra Santa dalle mani degli infedeli. La colonizzazione del territorio fu il mero prodotto della necessità di difendere i luoghi santi riconquistati. L'ethos del movimento era - nella sua più genuina sostanza -
antimusulmano. All'opposto, il sionismo fu essenzialmente un movimento di colonizzazione. La lotta
contro gli arabi non fu che un incidente, e per di più - come abbiamo visto - totalmente inatteso. I sionisti pensavano che la Palestina fosse un territorio vuoto; i crociati vi andarono proprio perché non lo era. Ma questa divergenza nelle motivazioni e