detto che il suo titolare sia necessariamente il dominatore della politica nazionale. L'ulteriore obiettivo di Dayan è evidentemente il posto di primo ministro, e che lo raggiunga o meno dipende in larghissima misura dall'andamento degli eventi e dalle modificazioni dello spirito pubblico. Un sondaggio d'opinione effettuato subito dopo la guerra ha messo in luce un dato significativo: mentre più dell'ottanta per cento della popolazione approvava l'operato di Dayan come ministro della Difesa, solo il venti per cento mostrava di preferirlo come possibile primo ministro (percentuale uguale a quella riportata da Abba Eban).

Se Israele esce dalla fase attuale con un orientamento estremistico, sciovinista, basato sulla convinzione che nuove guerre con gli arabi sono inevitabili, Dayan ha buone probabilità di diventare primo ministro entro il 1969. Se, al contrario, prevarranno atteggiamenti più moderati, Dayan potrebbe ritrovarsi semplicemente a capo della minoranza « attivista », sorpassato dalla storia.

Sul problema cruciale della politica da adottare nei confronti dei territori occupati Dayan è stato assai loquace, ma in modo contraddittorio. Nel corso dei primi due mesi successivi alla guerra ha dedicato all'argomento una mezza dozzina di dichiarazioni, ciascuna delle quali cancellava la precedente. Egli ha sostenuto, alternativamente, la creazione di uno Stato palestinese autonomo, una federazione tra Israele e Giordania e l'annessione di Gaza e della Cisgiordania.

Nel grande discorso pronunciato in apertura dell'ultima conferenza del partito Rafi (dicembre 1967) Dayan propose un programma in sei punti singolarmente ambiguo. Questi punti erano:

1) « salvaguardare il carattere ebraico dello Stato d'Israele nella sua struttura e nella sua popolazione »;

2) « assicurare il riconoscimento di Israele come Stato ebraico sovrano da parte dei suoi vicini »;

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