Queste percentuali includono inoltre, conformemente all'osservazione già fatta, le attività d'Israele in Iran - che sono cospicue - e le spese puramente burocratiche.
Dopo tutto ciò che è accaduto, una tale trascu-ranza degli affari arabo-israeliani è inconcepibile senza il riferimento all'immagine sionista di un Israele orientato verso l'ebraismo occidentale e l'Occidente in generale. Di tutti i legati trasmessi dal sionismo allo Stato d'Israele, questo è forse il più pericoloso.
La nuova generazione israeliana ha necessariamente una visione diversa del suo posto nel mondo. Essa è cresciuta in Palestina, e sa di appartenere a una nuova nazione nata in Palestina. Non guarda più al Medio Oriente dall'esterno, bensì dall'interno. Anzi: essa ha abolito il termine ‘ Medio Oriente ' dall'uso ebraico; ‘ Medio Oriente ' è termine europeo, presupponente che il mondo ha il suo centro da qualche parte in Occidente, ma per un israeliano è ridicolo parlare di Medio Oriente per riferirsi, poniamo, all'Algeria o anche all'Egitto, che rispetto a noi sono ad occidente. Perciò quando abbiamo cominciato a parlare di una nazione giudaica (hebrew) anziché di una nazione ebraica (jewish), contemporaneamente abbiamo cominciato a parlare di una « Regione semitica » - o semplicemente della « Regione » (ha-merkhav) anziché di Medio Oriente.
Appartenere alla Regione significa affrontare il problema centrale della nostra esistenza: gli arabi. Si tratta quindi di decidere se adoperare mezzi militari o politici, se incamminarsi sulla via della guerra o su quella della pace. Noi israeliani, che in mezzo a questo problema siamo nati, sappiamo che dobbiamo risolverlo (lo sappiamo tutti, da Moshe Dayan, identificato con la soluzione militare, a gente come me, che rappresenta la via opposta). Noi non spremiamo