la scena politica, egli fece la sorprendente constatazione che dalla creazione dello Stato in poi non si era verificato alcun mutamento nella distribuzione del potere, nonostante la popolazione si fosse triplicata, con due nuovi immigranti per ogni cittadino presente nel 1948. I nuovi venuti sembrano essersi agevolmente adattati al quadro di forze politiche costituito, in modo da lasciare ogni partito con la medesima percentuale di suffragi che aveva prima.
La spiegazione del fenomeno sta nella natura particolare dei partiti israeliani, che non trova riscontro in alcun altro paese. In teoria un partito è un'associazione volontaria di cittadini che si uniscono per sostenere una certa prospettiva politica o determinati interessi. Sempre in teoria, i membri appoggiano il partito con i loro contributi, ne eleggono i dirigenti e lo tengono sotto controllo. Nulla di tutto ciò è vero nel caso dei partiti sionisti, le cui strutture di potere, praticamente fuori portata da ogni azione di controllo della massa degli iscritti, sono governate da dirigenti professionisti e finanziate da fonti esterne.
Parafrasando il celebre detto di Mirabeau sull'esercito prussiano, si può dire che in ogni altro luogo lo Stato ha dei partiti, mentre in Israele i partiti hanno uno Stato. L'apparato dei grandi partiti è di gran lunga più potente e più consolidato della macchina statale, e per una precisa ragione: resistenza dei partiti è assai più antica di quella dello Stato d'Israele. Lo Stato, a differenza dei partiti, è un nuovo venuto sulla scena politica. Se risaliamo alle origini dei partiti, troviamo che il più giovane nacque nei primi anni venti. Il Partito revisionista, fondato da Jabotinsky in opposizione a Weizmann, nel 1948 mutò nome divenendo il Movimento Herut (lierut significa « libertà »), e nel 1965 creò un blocco con il Partito liberale che ora è chiamato, per brevità, Gahal. In quarantacinque anni questo partito