ministrano i territori occupati della Palestina (e con loro numerosi alti funzionari governativi civili) sono portatori, in generale, di una visione politica più liberale e lungimirante di quella di molti uomini politici e pubblicisti.
Poche settimane fa presentai alla Kenesset una risoluzione che proponeva dei passi immediati nel senso della creazione di una Repubblica palestinese. Il primo capoverso diceva: « La Palestina nel suo insieme è la patria di due nazioni: la nazione giudaica (hebrew) e la nazione arabo-palestinese ». La mia proposta era la costituzione di una federazione tra due Stati ciascuno incorporante una delle due nazioni: Israele e la Repubblica di Palestina.
La risoluzione raccolse solo un altro voto oltre al mio. Ma dopo la votazione dodici deputati delle più varie posizioni politiche, dalla destra (Herut) alla sinistra (Mapam), e compreso un ministro, mi avvicinarono privatamente nei corridoi, esprimendo la loro personale approvazione e aggiungendo con rammarico: « Avrei voluto poter votare a favore di questa risoluzione ». Dato il costume israeliano in fatto di disciplina di partito ciò era naturalmente impossibile, giacché tutti i grandi partiti appoggiano la politica governativa reclamante trattative dirette con gli Stati arabi.
Una frase famosa di Moshe Dayan suona così: « Sto aspettando che i capi arabi mi chiamino al telefono ». Questo atteggiamento costituisce oggi la politica israeliana ufficiale. Il punto è che tale politica ha di mira trattative con i soli governi arabi esìstenti, escludendo così automaticamente l'unico popolo arabo che non ha un governo ma che è il più direttamente interessato: il popolo palestinese. È con esso invece che una soluzione può essere trovata e messa in opera immediatamente.