guerra al solo scopo di dominare dei vicini che non meritano di essere sottomessi. Ogni sistema sociale dovrebbe avere come proprio fine essenziale la creazione di istituzioni la cui validità non scompaia in tempo di pace, quando i soldati abbiano terminato di assolvere il loro dovere. L'esperienza conferma questo concetto. Gli Stati militaristi non durano in vita che per il tempo in cui sono in guerra, e crollano non appena le loro conquiste sono cessate. L'errore sta in un sistema sociale che non insegna ai suoi soldati a vivere al di fuori dell'esercito e della guerra.

È Israele la Sparta dell'Oriente? La differenza fondamentale tra i due Stati è che Sparta voleva la guerra, mentre la nostra lotta rimane, anche se sboccata nella conquista di territori abitati da vaste popolazioni, una guerra difensiva. Ma ciò non toglie che oggi Israele si trova nell'identica situazione di Sparta. Bisogna colonizzare i territori occupati e diventare una nuova Sparta, oppure cercare una soluzione diversa?

La sventura più grave che potesse colpire uno spartano era di non essere ammesso a prestare servizio militare. In Israele accade lo stesso: ho visto dei giovani cadere in preda a disturbi mentali dopo essere stati riformati. Nella vita di un kibbuz di frontiera e nel servizio in armi delle ragazze c'è certamente qualcosa che ricorda gli spartani. E in ciò che si sa della vita a Sparta, incentrata sul servizio militare di tutti gli uomini sino ai sessant'anni, c'è qualcosa di israeliano. I discorsi che fanno i nostri uomini politici per incoraggiare la natalità in Israele e controbilanciare quella dei territori occupati sembrano derivare da un'imitazione parodistica degli statisti di Licurgo.

Se non è Sparta, il nostro paese è però ancora più lontano dalla Gerusalemme dell'VIII secolo a. C. L'esempio del crollo di Sparta dovrebbe costituire

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