avviene per le loro uniformi, che sono altrettanto ineleganti di quelle dei soldati semplici, ma perché essi sono uomini equilibrati e capaci, che conoscono il loro mestiere e lo esercitano senza vanterie e ostentazioni, e perché hanno un modo ragionevole di affrontare i problemi e tengono a risparmiare le vite dei loro soldati.

Già da molto tempo corre presso di noi la battuta secondo la quale quando un ufficiale israeliano comanda un attacco non dice ai suoi uomini: « Avanti! », ma piuttosto: « Seguitemi! ». Il numero elevatissimo di ufficiali morti in combattimento ne conferma la verità.

Ma l'esercito non ha occupato sempre tale posto d'onore. Trenta o quarant'anni fa al centro della scena c'erano i kibbuzim. Essi erano l'asse della vita nazionale, e suscitavano l'ammirazione del mondo intero. Apparivano come la sola creazione autenticamente originale del giovane Stato ebraico. La grande maggioranza degli israeliani provava un sentimento di colpa per il fatto di non appartenere a un kibbuz. Si sforzavano di trovare ragioni che li giustificassero, ma mantenevano la convinzione che i kibbuzniks fossero loro superiori.

I kibbuzim esistono ancora, ma hanno perduto l'antico prestigio. Da molto tempo non hanno maggiore importanza delle fabbriche, delle università o anche delle scuole d'arte. Conservatori e puritani, essi sono leggermente passati di moda.

II ruolo di incarnazione del genio nazionale è passato all'esercito. Esso attira gli uomini migliori. Se ne parla soltanto con un tono di profondo rispetto, lo stesso che si assume in Inghilterra per parlare della Chiesa o della monarchia, o negli Stati Uniti per parlare dell'alta finanza. Il meno brillante degli uomini politici è in grado di vivificare un discorso insignificante con il solo riferirsi al « nostro mera¬

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