viglioso esercito ». In Israele tutti criticano il governo, detestano i partiti o mettono in ridicolo l'organizzazione sionista. Ma l'esercito non si tocca, perché lo si ama.
Ora, sono appunto i militari che esercitano l'influenza più liberale e moderatrice. Essi sono assai meno sciovinisti del governo e della maggior parte dei partiti, e meno fanatici della media dei giornali.
Ciò si spiega con il semplice fatto che l'esercito, a differenza di tutti gli altri settori della vita nazionale, non può permettersi di sbagliare. Un solo errore da parte sua, e sarebbe la fine di Israele. Farsi esplodere una granata nelle mani è uno sbaglio che si può commettere una volta sola.
In Israele questa situazione è compresa da tutti, e ognuno dà automaticamente all'esercito il meglio di sé. Gli ufficiali assolvono i loro compiti molto meglio di qualsiasi altra categoria, e la nazione consacra alla difesa la parte più cospicua delle sue modeste risorse. Viceversa, ogni somma utilizzata a finanziare la pace appare come un inutile spreco.
In effetti in Israele tutti sono persuasi che la pace sia un mito; e per molti si tratta di un mito pericoloso. É qui che sta il vero pericolo di una « prussianizzazione » della società israeliana. In questi giorni ha un grande successo da noi una canzone il cui soggetto, come avviene per la maggior parte delle canzoni alla moda, è costituito dalle vittorie della guerra dei sei giorni. Essa termina con queste parole: « E i carri armati porteranno la pace ».
Traducete questa frase in tedesco, e vedrete come assume immediatamente un piglio minaccioso.
L'esperienza crea certi modi di pensare. Gli adepti della psicologia comportamentistica vi diranno che una volta stabilitosi un determinato schema mentale, lo spirito umano diviene permeabile soltanto alle impressioni che vi si conformano, mentre