campo, sono convinti che l'attività di questi estremisti può portarci soltanto all'annientamento nucleare reciproco.
Come stupirsene? Dopo la guerra i due contendenti non hanno fatto che continuare a rappresentare le loro parti, secondo un copione ormai vecchissimo. Per meglio comprendere la situazione, analizziamo gli atteggiamenti assunti da ciascuno dei due campi.
Subito dopo la guerra dei sei giorni Israele conobbe alcune settimane di grandi speranze. Il paese fu quasi sommerso da un'ondata di entusiasmo delirante. Tutto sembrava possibile. Dopo l'angoscia estrema che aveva preceduto la guerra e il sollievo venato d'incredulità che aveva seguito la vittoria, ognuno era dominato dal sentimento profondo che tutto sarebbe mutato. L'israeliano medio si diceva che ogni cosa ormai sarebbe stata diversa. Gli arabi avevano avuto una lezione. « Essi » avrebbero ora accettato di fare la pace.
Il lettore straniero si meraviglierà. Perché « essi » e non « noi »? Il fatto è che l'israeliano medio è perfettamente convinto che noi abbiamo sempre desiderato la pace, e che nel corso della storia sono sempre stati gli arabi che con la loro malvagia ostinazione hanno frustrato ogni volta questo desiderio. Ma ora, si pensava, « essi » avrebbero mutato atteggiamento.
Se in quel momento ci fosse stato, nell'uno o nell'altro campo, un autentico capo, una personalità saggia e risoluta, la pace sarebbe stata possibile. Tutto la favoriva. Lo stato degli spiriti, la situazione, lo shock enorme provato dalle due parti rendevano possibili - e persino plausibili - mutamenti profondi. Ma si levarono solo voci isolate, e sulla scena politica non emerse alcun capo dotato di effettivi poteri.