sare ch'era la fine del mondo. Quando, passato lo shock, la popolazione araba prese coscienza della realtà dell'occupazione, i suoi sentimenti divennero una mescolanza di sorpresa, di curiosità e di umiliazione.

Sorpresa di vedere i conquistatori comportarsi onorevolmente (a parte rare eccezioni), curiosità per questi israeliani che non avevano mai visto e che abitavano la parte occidentale di Haifa, Giaffa e Gerusalemme. Infine e soprattutto umiliazione, che si traduceva nell'esigenza di comportarsi con dignità.

Io credo che si verificasse allora presso gli arabi palestinesi anche un fenomeno analogo a quello che contemporaneamente sperimentavamo in Israele. Tutte le verità ufficiali erano demolite, tutto sembrava dover mutare: « Gli ebrei sono intelligenti. I capi arabi dovranno bene fare uno sforzo ». Insomma, dal cataclisma sembrava spuntare la pace. Questa condizione di spirito durò giorni e settimane, forse due o tre mesi. L'ostilità risvegliata dagli israeliani nei territori occupati era così modesta da apparire inverosimile.

Dominava la scena una curiosità reciproca, che sfiorava quasi l'amicizia. Ciascuno dei due campi prendeva coscienza della realtà dell'altro, e con ciò della sua umanità. In quel momento un autentico uomo di Stato avrebbe potuto con un solo gesto spettacolare aprire un nuovo capitolo nella nostra storia. In luogo di ciò avemmo le decisioni di Khartum: nessun riconoscimento d'Israele, nessuna possibilità di negoziati, nessun trattato di pace.

Khartum fu una sventura per gli arabi, una catastrofe per i palestinesi e un regalo miracoloso offerto agli annessionisti israeliani.

Le decisioni di Khartum furono dovute al fatto che, con i suoi eserciti distrutti e i suoi regimi vacillanti, il mondo arabo doveva almeno salvare la sua

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