nei confronti degli altri popoli arabi: ecco qualcosa che potrebbe rivelarsi come il contributo più prezioso alla pace di domani.
È vero anche l'inverso: non si può fare una pace fondata su un compromesso con un nemico che non si rispetta. Se i combattenti palestinesi arrivano ad ispirare rispetto per le loro capacità militari, per la loro maniera onorevole di battersi, per la loro capacità di sacrifìcio e per il loro idealismo, più d'un israeliano muterà atteggiamento riguardo alla soluzione del problema palestinese.
Proprio per questo gli attacchi terroristici contro donne e bambini e le vanterie ridicole fanno più danno di quanto si può a prima vista immaginare.
Di recente, dopo una battaglia tra un gruppo di al Fath che attraversava il Giordano e un reparto di paracadutisti israeliani (nel corso della quale era stato ucciso un colonnello israeliano), un giornale della sera di Tel Aviv collocato su posizioni di sciovinismo estremistico è stato costretto a pubblicare il resoconto dell'episodio di uno dei paracadutisti, che elogiava nei termini seguenti il coraggio dei combattenti nemici: « Si sono battuti come leoni. Si sono comportati esattamente come avremmo fatto noi al loro posto ». Parole di questo genere giovano indirettamente alla causa della pace più delle dichiarazioni benintenzionate dei pacifisti.
Lo scorso dicembre ad Haifa, davanti ad un pubblico di duemila persone, ho chiesto al generale Hajim Herzog, una delle personalità militari più rispettate del paese, se ritenesse che un giorno noi ci siederemo allo stesso tavolo con i sabotatori per discutere con loro. « Ma certamente - rispose Herzog -. Noi vogliamo un dialogo con i palestinesi. Probabilmente esso avrà inizio come incontro tra noi e i loro leader in questi territori occupati. Ma i negoziati arrive-