rigliere, come sta attualmente tentando di fare, conciliandosi Arafat e integrandolo nell'Establishment arabo?
Ma le organizzazioni guerrigliere possono costringere Nasser ad irrigidire le sue posizioni, il che porterebbe i sovietici a fare lo stesso. A questo punto un accordo tra le potenze sarebbe impossibile. È esattamente ciò che spera il governo israeliano.
La signora Golda Meir e i suoi ventuno colleghi accarezzano una speranza ancora più attraente: quella di mobilitare gli ebrei americani contro l'amministrazione Nixon e di servirsi della loro influenza sul Congresso e sugli strumenti d'informazione. È un giuoco che sotto le amministrazioni democratiche è sempre riuscito. Ma Nixon è assai meno legato al voto ebraico. La sua amministrazione fa molto posto agli interessi petroliferi, e confida che di fronte al pericolo nucleare il desiderio di pace degli americani prevarrà sull'azione dei gruppi sionisti, anche i meglio organizzati. Potrebbe essere l'occasione di una verifica decisiva del valore dell'ideologia sionista: in caso di scontro aperto tra governo americano e Israele gli ebrei americani si schiereranno con Israele? o faranno invece marcia indietro e si adopereranno presso Israele perché muti la sua politica, al fine di scongiurare la rottura?
Forse tutte queste tendenze non si chiariranno se non dopo le elezioni generali israeliane, che avranno luogo il 28 ottobre 1969. Fino a quel momento la pressione americana dovrà conservare la sordina. Spetterà al nuovo governo (probabilmente ancora sotto la direzione di Golda Meir) prendere una decisione.
Tre sono le vie attualmente aperte di fronte ad Israele:
1. Accettare una sistemazione raccomandata dalle