quattro potenze (ammesso che queste riescano ad accordarsi tra loro);
2. Irrigidire le sue posizioni o mantenere l'atteggiamento attuale, rischiando così l'isolamento totale;
3. Fare la pace direttamente con i palestinesi.
La prima soluzione si collocherebbe agevolmente
nella linea sionista tradizionale, che è sempre consistita nella cooperazione con almeno una grande potenza.
Ma il ritiro dai territori occupati sfiora la capitolazione. Senza essere impossibile, esso rimane estremamente improbabile. In ogni caso esigerebbe un coraggio e una costellazione politica difficili ad immaginare.
Se Israele fosse davvero, come pensano gli arabi, null'altro che la creazione e il fantoccio dell'imperialismo occidentale, questa via sarebbe la sola praticabile. Ma la verità è che gli arabi corrono il rischio di ritrovarsi alleati, con loro grande stupore, all'imperialismo occidentale e a quello sovietico contro Israele.
La seconda via si adatta meglio alla psicologia ebraica. Essa isolerebbe Israele dalla comunità mondiale. Potrebbe causare l'arresto delle forniture d'armi e costringere il governo di Tel Aviv a contare sulle sue sole forze. Potrebbe inoltre significare l'interruzione degli aiuti finanziari americani, fatto che obbligherebbe Israele ad una dolorosa riorganizzazione della sua economia, sia che l'appoggio ebraico diminuisse sia che aumentasse considerevolmente. Ma a questo punto interviene la psicologia ebraica. Ogni ebreo è persuaso che la storia abbia dimostrato con assoluta chiarezza come i Goìm (i Gentili), anche quando non odiano gli ebrei, rimangono totalmente indifferenti al loro destino e, anzi, si rallegrano del loro sterminio. L'apatia generale davanti ai massacri in massa hitleriani ha contribuito a consolidare tale