convinzione. Se oggi il mondo intero si volgesse contro Israele per costringerlo a un passo che questo sente come un attentato alla propria esistenza, non proverebbe ciò fino a che punto questa persuasione era fondata? Una situazione del genere sarebbe persino - senza dubbio - benvenuta, giacché confermerebbe la fondatezza di certe idee. Come dicono gli psicologi, ci si compiace sempre di veder dimostrato che non ci si è ingannati. Questa è dunque la via che ha le maggiori possibilità di essere seguita. Le condizioni di spirito del paese, irrigidite dall'incessante propaganda dei mezzi di comunicazione di massa, spingono in questa direzione.
La terza via comporterebbe la creazione di una situazione completamente nuova, in cui sarebbe stavolta Israele a prendere l'iniziativa di trattative di pace dirette con i palestinesi (ivi comprese le organizzazioni guerrigliere) e, attraverso di essi, con l'intero mondo arabo.
Personalmente, sono convinto che quest'ultima via sia la sola che conduca a una pace durevole. Si tratterebbe di una soluzione non « imposta », non proveniente né dall'esterno né dall'interno. Essa non solo risolverebbe tutti i problemi concreti sul tappeto, ma - e soprattutto •-• creerebbe nuovi atteggiamenti spirituali, una volontà di vivere insieme, di collaborare, di foggiare nuove strutture per la Regione.
Senza di ciò, quali sono le prospettive di pace? Quelle di una soluzione imposta, accettata per necessità, ma che non modificherebbe gli atteggiamenti di fondo della gente.
Che possibilità di durare avrebbe una sistemazione di questo tipo? Soltanto un'azione diretta, motivata da atteggiamenti nuovi e capace di creare nuovi modi di pensare, sarebbe in grado di produrre i mutamenti di base che sono necessari. Una tale azione